lunedì 27 febbraio 2012

Da Rocky a Chuck Norris

Non vi sarà sfuggita la notizia: in un paesino della Slovacchia i cittadini hanno votato per far sì che un ponte della località venisse dedicato a Chuck Norris. La storia è alquanto bizzarra, e in realtà si tratta di una tendenza inaugurata qualche anno fa a Mostar, dove venne costruita una statua a Bruce Lee, per molti simbolo di giustizia.

La statua fu subito presa di mira dal nazionalismo croato, ma l'idea di dedicare delle statue a personaggi del cinema si diffuse nell'area balcanica. E così a Zitiste, nel nord della Serbia, a qualcuno venne in mente una strana idea. Quale poteva essere un personaggio vincente che sarebbe stato da esempio per la comunità locale nella lotta contro l'imperante crisi economica?
Non poteva che essere lui, il simbolo cinematografico del reaganismo: Rocky Balboa. E così una statua venne innalzata in onore dello stallone italiano. La politica non centra nulla, dicono i cittadini locali che mi è capitato di incontrare pochi mesi fa: non abbiamo scelto Rocky perché è colui che ha sconfitto il sovietico Ivan Drago. Lo abbiamo scelto solo perché è un vincente.

Sarà... in ogni caso se state girando per il nord della Serbia e vi trovate una statua di Rocky esultante, nessuna paura, non siete finiti per errore a Philadelphia, e quelli impazziti non siete voi.

P.S. vista la notiziona di cronaca non ho resistito e ho rinviato di qualche giorno il secondo post sul basket... stay tuned!

venerdì 24 febbraio 2012

Lo Yugobasket / 1

Un paio di settimane fa Sergio Tavčar, indimenticabile cronista sportivo di TV Koper Capodistria, è passato a Padova per presentare il suo libro La Jugoslavia, il basket e un telecronista. Tavcar è un nome notissimo fra gli appassionati di pallacanestro: in molti sono cresciuti seguendo le sue mitiche telecronache. E credo che senza parlare di basket sia difficile capire davvero la Jugoslavia. Pensate che una volta ho sentito raccontare una barzelletta: "Sai chi ha voluto la guerra in Jugoslavia? Gli Usa, altrimenti non avrebbero mai più vinto un mondiale di basket."
Tavčar, che è persona intelligente, questa cosa la spiega alla perfezione, grazie anche alle mille sfaccettature che lo caratterizzano: tifoso della Jugoslavia ma sloveno di nazionalità, abitante di Trieste ma critico con la sua città, madrelingua sloveno ma diffidente nei confronti degli abitanti di Lubiana. La sua dote più grande però è spiegare lo sport senza limitarsi alle analisi tecniche, mettendolo in relazione con lo spirito di un popolo: la Jugoslavia era una squadra di assoluto livello perché giocava alla sua maniera, cioè balcanica. Ed è proprio il motivo per cui oggi la Spagna è lo squadrone che è: perché continua a giocare alla spagnola. L'Italia, pur ricca di stelle NBA, ha smarrito la bussola e gioca all'americana... e i risultati si vedono!

Qual è oggi, secondo Tavčar, la squadra che ha mantenuto di più lo "spirito balcanico" della grande Jugoslavia? La Macedonia, che pur avendo cinque-giocatori-cinque agli ultimi Europei è riuscita a fare faville. Il Montenegro resiste, ma avendo pochissimi abitanti fatica. La Serbia mantiene un buon vivaio, mentre la Bosnia è divisa da troppi nazionalismi. Croazia e Slovenia stanno invece perdendo la loro anima. Si stanno americanizzando, proprio come l'Italia.
Ma cosa vuol dire "americanizzarsi"? Questo lo scopriremo nel prossimo post.

P.S. Nella foto, per chi non segue il basket, Vlade Divac e Drazen Petrovic. La loro indimenticabile storia è stata raccontata di recente in un simpatico documentario.

sabato 18 febbraio 2012

Altro che xilofono giocattolo


Avete visto l'altra sera Goran Bregovic a Sanremo a suonare (?) una versione balcanizzata di Romagna mia? Ecco, giusto per farvi capire cosa faceva quasi 40 anni fa, guardate il video qui sopra. All'epoca era leader dei Bijelo Dugme, gruppo rock esistente fino al 1989. I Bijelo Dugme sono stati un vero cult in tutta la Jugoslavia, con 6 milioni di dischi venduti. Il loro successo maggiore è probabilmente Djurdjendan, versione rock della notissima canzone zingara Ederlezi, dedicata alla festività di San Giorgio di maggio, resa famosa in Italia dai CSI.

In molti rimproverano a Bregovic (soprattutto in Serbia, paese adottivo scelto da Bregovic nato a Sarajevo) proprio questo attingere alle musiche tradizionali per raggiungere il successo internazionale. Più volte mi è capitato di sentire persone che definivano Bregovic un ladro che "si è arricchito con le canzoni di tutti". Il che è anche un po' ingeneroso, perché quantomeno il merito del musicista serbo-bosniaco è quello di aver reso famosa la musica balcanica nel mondo. Poi è vero che ormai troppo spesso si adagia sugli allori: vedi appunto Sanremo, dove si è limitato a dare due colpi a uno xilofono giocattolo. Però è soprattutto grazie a lui se in molti nel mondo conoscono la musica balcanica. Certo, se poi la si ascolta in loco, è tutta un'altra cosa...


giovedì 16 febbraio 2012

99,74% di guai

Non aveva nessuna rilevanza giuridica il referendum che è stato votato fra il 14 e il 15 febbraio dalla popolazione serba nei comuni del Nord del Kossovo. Eppure a votare sono andate ben 26.000 persone su 35.000 aventi diritto. Secca la domanda posta : “Accettate le istituzioni della cosiddetta repubblica del Kossovo insediata a Pristina?” L'esito era scontato: il 99,74% ha infatti detto no. Un plebiscito che si può spiegare solo osservando la complessa situazione politica che caratterizza da sempre il Kossovo: provincia a maggioranza albanese dotata di autonomia durante l'esistenza della Jugoslavia, stretta poi da una pressante sottomissione serba fino ai bombardamenti su Belgrado del '99, per arrivare infine alla dichiarazione d'indipendenza unilaterale del 2008, il Kossovo è sempre stato un simbolo per i nazionalisti serbi. A partire dalla cosiddetta battaglia del Kossovo (altrimenti detta battaglia della piana dei Merli) del 1389, quando l'esercito serbo, guidato dal principe Lazar, venne sconfitto dagli ottomani consegnando così la penisola balcanica a secoli di dominio turco.

Il valore del Kossovo per i serbi è amplificato dalla presenza di importanti monasteri ortodossi: non deve quindi stupire che i primi focolai che portarono alla guerra in ex-Jugoslavia scoppiarono proprio qui. Nel 1989, un nazionalista serbo che divenne poi tristemente famoso, Slobodan Miloševic, si recò in Kossovo per alimentare l'odio etnico verso gli albanesi, proprio nel 600esimo anniversario della battaglia. Fu l'inizio della fine.

La zona è dunque sempre stata molto calda e il referendum di questi giorni non può che scaldarla ulteriormente: non avendo nessuno valore legale, la votazione assume un chiaro valore politico. Un messaggio che i nazionalisti serbi lanciano verso chi vuole pacificare la zona. Il Parlamento del Kossovo ha ritentuto la consultazione “illegale e anticostituzionale”. Persino la Serbia, a cui L'Unione Europea ha raccomandato di migliorare i rapporti diplomatici con Pristina, non ha gradito il referendum. L'ingresso nell'Ue è per la Serbia la direzione da seguire, tanto da aver – negli ultimi anni – catturato e consegnato tutti i criminali di guerra, last but not least Ratko Mladic, il responsabile dell'eccidio di Srebrenica. La Serbia sa bene che chiudere i conti con il proprio passato è l'unico modo per farsi accettare da Bruxells e i segnali che arrivano dal Kossovo non sono che bastoni fra le ruote per Belgrado, tanto che il Presidente serbo Boris Tadic aveva definito il referendum inutile e dannoso, soprattutto in vista del vertice europeo di inizio marzo, dove alla Serbia potrebbe venir concesso lo status di paese candidato all'ingresso nell'UE.

Pubblicato originariamente su www.anordestdiche.com


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mercoledì 15 febbraio 2012

Meglio tardi che mai

Ieri il presidente serbo Boris Tadic ha consegnato diverse onoreficenze a persone e istituzioni considerate particolarmente meritevoli. Insieme al tennista Novak Djokovic, ambasciatore della Serbia nel mondo, è stata premiata una persona molto meno nota, ma sicuramente altrettanto degna. Si tratta di Srdjan Aleksic, serbo di Trebinje, ammazzato di botte nel 1993 da quattro militari della Repubblica Serba di Bosnia, colpevole di aver difeso un amico musulmano.
Meglio tardi che mai, si direbbe, ma c'è un particolare che va segnalato. Nella motivazione ufficiale della premiazione si omette una cosa, ovvero chi abbia ammazzato Aleksic: si parla di un generico gruppo di violenti, senza specificare che i violenti erano quattro militari che stavano controllando i documenti a dei cittadini presenti in un mercato.

La storia di Srdjan non è molto nota, ma nell'ultimo periodo sta piano piano emergendo, insieme a quella di tanti piccoli eroi che durante la guerra in ex-Jugoslavia hanno deciso di "restare umani" anche a costo della vita.
Abbiamo voluto contribuire anche noi alla memoria di Srdjan, raccontando con i disegni di Gabriele Gamberini la sua storia in un fumetto.

Qui un'anteprima:

P.S. grazie a Luka di Osservatorio Balcani Caucaso per la segnalazione.

lunedì 13 febbraio 2012

L'estate sta iniziando...



Quanti di voi in questi giorni di gelo inclemente (che hanno colpito anche i Balcani) hanno pensato a un'estate calda e a un mare cristallino?

Se state pianificando le vostre vacanze basandovi su questo presupposto non posso che consigliarvi di raggiungere la spiaggia che vedete in questa foto. È in Montenegro, a un chilometro a sud del villaggio di Sveti Stefan.

Certo i prezzi non sono quelli tipici dei Balcani, ma proprio lì vicino c'è un campeggio (ottimo, se confrontato con altri campeggi della zona) dove trovare un po' di pace: è una delle poche strisce di terreno montenegrino che si difende dall'assalto del cemento. Conviene farci un salto, prima che sia troppo tardi.

venerdì 10 febbraio 2012

La Giornata del ricordo

Sergio Endrigo è nato a Pola, in Istria, nel 1933. Nel 1947 emigra in Italia per le vicende connesse all'esodo Istro-Giuliano-Dalmata. Che Endrigo sia istriano di nascita non lo sa quasi nessuno, eppure racconta la sua storia in una canzone (a dire la verità altrettanto sconosciuta), intitolata "1947". Oggi è il Giorno del ricordo di quell'esodo, e delle foibe: mi sembra il giorno giusto per ascoltare quella canzone. Perché ci restituisce quelle vicende in maniera reale, nella dimensione di un dramma umano e non con il filtro di una ricostruzione storica strumentale.

Istituito nel 2004 dall'allora Governo Berlusconi, il Giorno del ricordo ha sempre destato la diffidenza di alcuni storici. Non certo perché si voglia omettere una parte drammatica della storia italiana, ma perché raccontare le vicende dell'Istria e della Dalmazia limitandosi a parlare di esodo e foibe è un tentativo, secondo l'abusata litania degli "italiani brava gente", di incanalare la violenza secondo criteri etnici. I bravi italiani da una parte e gli slavi cattivi dall'altra. Il che è come commentare una partita di calcio raccontando solo quanto avviene in una delle due metà campo. Spesso, quando si viene tacciati di anti-italianismo, la verità è l'opposto. Chi vuole raccontare le foibe inserendole nel contesto in cui si sono sviluppate vuole far crescere la moralità del proprio Paese: perché se è vero che è giusto ricordare le proprie vittime è ancora più necessario ricordare i propri errori. Almeno, se c'è un insegnamento che i miei studi universitari in Storia mi hanno dato mi sembra questo.

Se il Giorno del ricordo diventerà dunque anche questo, e oltre le foibe in futuro ricorderà davvero (come già ora dice la legge) la più complessa vicenda del nostro confine orientale, allora la canzone di Sergio Endrigo, che narra di un dramma umano e non etnico, forse verrà postata un po' di più sulle nostre bacheche Facebook, rendendo giustizia alle vittime di qualsiasi etnia.

Io, intanto, ci provo da subito:

giovedì 9 febbraio 2012

Qualcosa di buono sul fronte orientale

Ci sono storie che sembrano fatte apposta per scriverci un romanzo. Questa è una di quelle. Nel 2010 la Bosnia decide di ringiovanire il proprio esercito e manda in pensione chi ha più di 35 anni di servizio. Solo che la crisi politica che ha portato la Bosnia a un interminabile periodo senza governo ha fatto sì che non ci fossero i soldi nemmeno per le pensioni degli ex-militari. E così la federazione croato-musulmana stanzia un fondo per i propri militari, mentre quelli serbi rimangono a bocca asciutta.
È stato così che i veterani croati e i musulmani, che di certo non se la passavano bene, hanno deciso fare una buona vecchia colletta per gli ex-nemici, arrivando a raccogliere 5.000 euro. 500 sono andati a Slavko Rašević, che non aveva nemmeno i soldi per mandare la figlia a scuola, gli altri sono stati divisi in quote da 50 o 60 euro per i più bisognosi.

E così, dopo essersi sparati, i veterani della guerra di Bosnia oggi si ritrovano tutti insieme a protestare contro i loro politici, e contro il loro immobilismo.

lunedì 6 febbraio 2012

Ciò che sembra, non sempre è

Nel sentire comune, l'immagine dei Balcani è così legata alle guerre degli anni '90 da farli sembrare un luogo dove l'odio etnico cova dietro ogni angolo. Eppure non è così. Si prenda la Voivodina, la regione che sta a nord della Serbia. In questa pianura, con un'altissima densità di corsi d'acqua, vivono in pace oltre 20 etnie. La principali sono quella serba (65%) e quella ungherese (15%), ma in Voivodina vivono anche slovacchi, croati, rom, rumeni... Le lingue ufficiali sono sei, e come mostra la foto, i nomi delle istituzioni e le indicazioni stradali sono spesso espressi in più lingue. Se non ne avete mai sentito parlare forse è proprio perché qui le popolazioni da lungo tempo vivono in pace (le ultimi migrazioni per ragioni etniche risalgono a dopo la Prima Guerra Mondiale, quando i popoli tedeschi abbandonarono queste zone dopo la sconfitta nella guerra).

Eppure nonostante questo la Voivodina è una delle regioni storiche della Serbia: provincia indipendente dal 1974 è oggi fra le zone più dinamiche di questo Stato, grazie soprattutto alla vivacità della sua capitale, Novi Sad, a lungo bombardata dalla Nato, che sta rivivendo ora una nuova vita.

Ah, e a rendere questa provincia ancora più multiculturale ci pensa la sua conformazione: la Voivodina è divisa infatti in tre regioni: Syrmia, Banato e Bačka. Ognuna di queste regioni ha una propaggine in un altro stato: e così esiste una Syrmia croata, un Banato rumeno e una Bačka ungherese.

giovedì 2 febbraio 2012

Egitto e Bosnia: quando lo sport nasconde ben altro

Sui giornali di oggi tiene banco la notizia delle ferali violenze che dopo una partita di calcio hanno portato alla morte di oltre 70 persone. C'è qualcuno che però sospetta ci sia qualcos'altro, dietro questi fatti: nella fattispecie, punire gli ultrà dell'Ahly, rei di essere stati fra i protagonisti di Piazza Tahrir. Purtroppo, però, tutto il Mondo è Paese. Una cosa simile infatti è successa qualche mese fa nel derby di Mostar, quando gli ultrà dello Zrinjski, una delle due squadre della città, invasero il campo per punire i giocatori avversari.
Il caso egiziano e quello di Mostar ci insegnano come anche oggi lo sport possa essere utilizzato per ottenere i propri fini: punire chi ha combattuto contro Mubarak in un caso, chi è di un'altra religione in un altro. Bisogna stare all'erta.

P.S. Documenteremo l'episodio di Mostar con i fumetti di Gabriele Gamberini. Eccovi giusto un assaggio.


mercoledì 1 febbraio 2012

"La SCINTILLA che fece scoppiare la Prima Guerra Mondiale"

Quante volte avete letto o sentito questa frase? È il modo che si usa a scuola per spiegare l'attentato con cui Gavrilo Princip uccise l'erede al trono d'Austria Francesco Ferdinando, dando così il via alla Prima Guerra Mondiale. Una scena talmente mitizzata da sembrare più una leggenda che un fatto storico. Eppure accadde realmente, e la foto qui a fianco ritrae esattamente il posto da dove Gavrilo sparò: il Ponte Latino. Se quel fatto non avesse creato così tanti disastri, però, sarebbe da riderci sopra. Più che un attentato sembravano... le comiche!
Gavrilo non era solo quel giorno: con lui c'erano altri membri della Giovane Bosnia. Il primo di questi sbagliò mira con una bomba, facendo scappare l'Arciduca che si stava dirigendo verso la biblioteca. Il piano sembrava andato in fumo, ma al ritorno del sovrano Gavrilo incontrò per puro caso il corteo imperiale: tentò ancora una volta di uccidere l'Arciduca, ma sbagliò e uccise la moglie. Solo con il secondo colpo riuscì nei suoi intenti, e sapendo a quale fine sarebbe andato incontro cercò di uccidersi con l'arsenico, che però era scaduto e non sortì alcun effetto. Così tentò il suicidio buttandosi nel fiume Miljacka, ma dato che l'acqua arrivava a mala pena alle caviglie non riuscì proprio ad annegarsi. Infine, fu catturato e imprigionato. Morì di tubercolosi 4 anni dopo nel carcere di Terezin.

Ah, ricordatevi: se anche il fatto è avvenuto a Sarajevo, Gavrilo era un serbo, che insieme alla Mano Nera combatteva contro il dominio austrungarico della Bosnia. Come a dire: a volte le cose sono un po' più complesse di quanto sembrerebbe. In ogni caso, se volete mantenere un tenore più leggero, poco distante dal ponte c'è la Sarkejevska Pivara, il birrificio cittadino. Ve lo consiglio.


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